Una nuova ricerca della Columbia University Medical Center ha stabilito come una proteina tossica dell’Alzheimer si diffonde attraverso il cervello – saltando da un neurone all’altro – tramite lo spazio extracellulare.
La diffusione della proteina, chiamata tau, potrebbe spiegare perché solo una zona del cervello è influenzato nelle prime fasi del morbo di Alzheimer, mentre le zone più colpite sono nelle fasi successive della malattia.
Orange indicates where tau protein has traveled from one neuron to another. Source: Laboratory of Karen Duff, PhD
“Chiarire come tau si diffonde, permette di fermarlo nel passaggio da neurone a neurone,” dice il Dott Duff. “Ciò impedirebbe alla malattia di diffondersi ad altre regioni del cervello, fasi associate a più grave demenza“.
Una seconda caratteristica interessante dello studio è l’osservazione che la diffusione di tau accelera quando i neuroni sono più attivi. Due membri del team, Abid Hussaini, e Gustavo Rodriguez, hanno dimostrato che stimolando l’attività dei neuroni si ottiene un’accelerazione nella diffusione della tau attraverso il cervello di topi e successivo aumento della neurodegenerazione.
“Anche se sono necessari ulteriori lavori per esaminare se tali risultati sono rilevanti per le persone”, i ricercatori suggeriscono che gli studi clinici sui test di trattamento che aumentano l’attività del cervello, come la stimolazione cerebrale profonda, devono essere monitorati attentamente nelle persone affette da malattie neurodegenerative,” afferma il Dott Duff.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Nature Neuroscience“.
Leggi abstract dell’articolo:
- Neuronal activity enhances tau propagation and tau pathology in vivo
Jessica W Wu, S Abid Hussaini,Isle M Bastille,Gustavo A Rodriguez,Ana Mrejeru,Kelly Rilett,David W Sanders,Casey Cook, Hongjun Fu,Rick A C M Boonen,Mathieu Herman, Eden Nahmani,Sheina Emrani,Y Helen Figueroa,Marc I Diamond,Catherine L Clelland, Selina Wray & Karen E Duff
Nature Neuroscience (2016) Published online 20 June 2016 doi:10.1038/nn.4328
Fonte: COLUMBIA UNIVERSITY MEDICAL CENTER